top of page
Original on Transparent.png

FRANCESCO FISCELLA, DALL'ASCOLI ANTIFASCISTA AI SALUTI ROMANI DI MILANO. Segnali da non ignorare


Di fronte ai rigurgiti fascisti che riaffiorano con sempre maggiore frequenza nel nostro Paese, non possiamo più limitarci a parlare di “provocazioni isolate” o folklore. Stiamo assistendo a una pericolosa normalizzazione di simboli, gesti e linguaggi che fanno parte di una storia drammatica e mai veramente chiusa. E la loro diffusione oggi non è solo opera di fanatici, ma è resa possibile dal silenzio, dall’indifferenza e da un’opinione pubblica che troppo spesso minimizza.


Ad Ascoli Piceno, nei giorni scorsi, la titolare del panificio "L'Assalto ai Forni", Lorenza Roiati, ha affisso sulla propria vetrina uno striscione con scritto: “25 aprile, buono come il pane, bello come l’antifascismo”. Un messaggio che intendeva celebrare la festa della Liberazione in modo semplice. Tuttavia, questa sua iniziativa ha attirato l'attenzione delle forze dell'ordine, che l'hanno identificata due volte nel corso della giornata. Successivamente, la panetteria è stata oggetto di intimidazioni, con l'affissione di striscioni offensivi nei suoi confronti.


A Milano, intanto, si è tenuta la consueta commemorazione di Sergio Ramelli, militante neofascista ucciso nel 1975. Come accade da anni, la manifestazione si è trasformata in un raduno di militanti neofascisti, con centinaia di saluti romani, torce accese e slogan da parata. Il tutto in una città medaglia d’oro della Resistenza, sotto gli occhi di una società civile sempre più disorientata.


Questi episodi non sono semplici “rigurgiti”, ma sintomi di un problema profondo: l’assenza di una memoria attiva, condivisa e difesa. E soprattutto, l’assenza di una coscienza vigile nell’uomo comune, quello che Hannah Arendt chiamava “banale”, perché incapace di pensiero critico, pronto a conformarsi pur di vivere tranquillo. È l’“uomo qualunque”, che non partecipa, non protesta, non si oppone, ma lascia fare. È questo tipo umano che consente ai fascismi – vecchi e nuovi – di sopravvivere sotto traccia.


Ed è bene ricordare che la lunga stagione della strategia della tensione – le bombe di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, la stazione di Bologna – ha avuto una chiara matrice neofascista, spesso coperta e protetta da apparati dello Stato. Quegli attentati non furono azioni “contro il sistema”, ma operazioni studiate per destabilizzare la democrazia e colpire i cittadini inermi.


Oggi, più che mai, è necessario un argine culturale e civile. Il 25 aprile non è una festa di parte: è la base stessa della Repubblica. E ogni volta che viene contaminato da nostalgie del Duce, o che si chiudono gli occhi di fronte ai saluti romani, si mina alla radice la democrazia.


La libertà non si conserva da sola. Ha bisogno di memoria, coraggio e coscienza. E anche di parole chiare.

Comentarios


bottom of page