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I BARONI, I BRACCIANTI E I CONTADINI Una lunga storia di sfruttamento e angherie 


Nelle campagne siciliane, dai primi dell'800 fino alla caduta della monarchia, quasi tutti i proprietari terrieri si disinteressavano della gestione dei loro terreni.

Tutte le provincie siciliane, da Palermo a Caltanissetta, da Trapani a Girgenti, da Enna a Catania, vedevono la quasi totalità dei possidenti, e tra loro anche i baroni nostrani, dare in affitto ai gabellotti i loro patrimoni terrieri. Essi, spesso gente appartenente alla mafia locale, subaffittava ai contadini con contratti totalmente svantaggiosi per questi ultimi. Ovviamente la tipologia del contratto variava dai tipi di colture, ma ciò che accomunava i lavoratori della terra era appunto lo sfruttamento.

Nelle nostre zone, in particolare, era la produzione cerealicola che dominava i feudi e tutta l’economia agricola.

Questo tipo di coltivazione, non richiedeva nessun capitale d’investimento e pochissimi capitali di esercizio, la vera ricchezza per i baroni ed i latifondisti era l’impiego generalizzato delle braccia di lavoro dei contadini e dei braccianti.

Dal punto di vista sociale, la massa contadina aveva caratteri differenziati, che si riflettevano nei rapporti contrattuali con i baroni ed i lattifondisti. I contadini un po' più benestanti, stipulavano contratti d’affitto e anche di mezzadria aventi una durata più lunga del solito, che garantiva loro una certa autonomia; i contadini poveri ed i braccianti, che erano poi la stragrande maggioranza della popolazione nicosiana, invece, subivano le condizioni del barone o del possidente, che assegnava loro, in rapporto alle esigenze della rotazione agraria, una determinata quantità di terra sotto forma d’affitto (subaffitto nel caso in cui la concessione fosse data da un gabelloto) o sotto forma di mezzadria impropria.

L’affitto, o subaffitto, prevedeva sempre il pagamento di un canone da parte del contadino o del bracciante; e come se non bastasse, era obbligato, ma non sempre, ad anticipare ai proprietari le sementi e i cosiddetti soccorsi, cioè una convenuta somministrazione in denaro o in natura nei mesi invernali.

A fine raccolto, la suddivisione era sempre iniqua e vergognosamente a favore della proprietà o del gabellotto.

Le percentuali oscillavano dal 75% al 80% alla proprietà e il resto ai poveri braccianti.

Oltre a questo, una forma ancora peggiore d’affitto, molto diffusa nei nostri territori, era il cosiddetto terraggio: il barone o il possidente aveva garantita una quota (appunto il terraggio) per ogni unità di misura di terreno concesso. Così, se il patto era di 2 terraggi, la parte garantita era sempre di 2 ettolitri di frumento per ogni ettaro di terra. In più, dalla parte restante, veniva tolta la semente anticipata.

Ciò che rimaneva (molto poco) era del contadino. Il lavoratore poteva portare a casa qualcosa solo se la produzione superava le 6-7 sementi; in caso contrario, il terraggere tornava a casa dopo un anno di lavoro, senza niente in mano.

La mezzadria, seppur non eccellente, rimaneva per i contadini la forma contrattuale migliore, anche se le angherie e le illegalità commesse dai proprietari e dai gabellotti superavano qualsiasi tipologia di contratto.

Tutto questo durò diversi decenni, con i baroni che si arricchivano sempre di più e i contadini che diventavano sempre più poveri e molto spesso vittime dell’usura messa in piedi magistralmente dagli stessi baroni e dai proprietari terrieri.

Vedete cari lettori, quei bellissimi palazzi che abbracciano tutto il centro storico della nostra cittadina, li hanno costruiti sulla pelle di generazioni di contadini e braccianti nicosiani.

Non sono caduti dal cielo ma sono la prova vivente dello sfruttamento di cui erano vittime la stragrande maggioranza dei nicosiani.

Questo articolo esce oggi, 1 maggio 2024, e sapete il perché.

Alcune fonti

Francesco Renda, “I Fasci Siciliani 1892-94”, edito da Einaudi,

Andrea Merlo, “ Il contrasto allo sfruttamento del lavoro” Giappichelli

Fara Misuraca ,”Storie di Sicilia”

Giuseppe Palmeri, ”L’intervento pubblico nell’agricoltura siciliana e la fine del mondo

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