Il 19 marzo, a mezzogiorno in punto, mangiano i santi. Il giorno dopo la "firriata" dell'artara, si svolge la cena.
Anticamente a consumare il pasto erano gli indigenti; oggi sono i figli degli amici e dei parenti perché gli indigenti ci sono, ma preferiscono restare in disparte. A Leonforte la povertà è spesso dignitosa. A tavola siede la Sacra Famiglia ossia tre bambini che impersonano Gesù, Giuseppe e Maria e Gesù verrà servito dalla padrona di casa per primo perché a lui la comunità dei fedeli deve guardare per fare. Il rituale viene aperto da una preghiera collettiva alla fine della quale u Signuri , con la mano destra sollevata e quella sinistra sul cuore, viene invitato a ripetere per tre volte una raziunedda. Terminata l’orazione, i santi si accomodano e a Gesù, la padrona di casa e sacerdotessa dell'altare domestico, lava il piede, lo asciuga e lo bacia e dopo di lei gli altri santi. E' la lavanda dei piedi, che mima l'ultima cena che comincia con tre spicchi d’arancia, uniti all'estremità e distinti in ogni spicchio, come la Trinità. Tutto quello che c'è sulla tavola richiama la Trinità e la moltitudine dei fedeli. La signora della casa verserà il vino nei bicchieri del servizio buono, spezzerà il pane e lo dividerà ai santi e agli astanti. Tutto quel che resta del cibo dell’altare – fatta eccezione per le cuddure dei santi e per la spera, conservate con devozione dalla padrona di casa – verrà messo a disposizione di chi assiste alla cena . La padrona di casa completerà il suo impegno col santo la sera, facendo il viaggio spesso scalza. La grazia ricevuta o richiesta è cosa seria e merita impegno. A Leonforte questo momento dell'anno è assai partecipato dai fedeli, dai curiosi e da chi sente il mistero della preghiera e dell'appartenenza alla comunità che condivide la grazia senza fumosità concettuali buone solo a fare aria con la bocca. A Leonforte san Giuseppe è amato perché fu operaio e padre di un figlio non suo. Un figlio che amò come i padri che scelgono di esserlo sanno fare.

W san Giuseppe.
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