Il ruolo dei contadini nella Seconda Guerra Mondiale, al pari con i mezzadri, fu quello di supportare e agevolare la lotta partigiana in tutte le regioni del nord Italia. Senza versare approvvigionamenti al Regime, nascondendo renitenti alla leva e prigionieri di guerra stranieri, anche i contadini dovettero pagare un prezzo altissimo in termine di vittime civili per i loro atteggiamenti ribelli. La collaborazione e l'assistenza tra il mondo contadino e le truppe partigiane nacquero spontaneamente appena dopo l'Armistizio, quando il primo soccorso era improvvisato e l'organizzazione ancora non ben definita, e via via si consolidò dopo il giugno del '44, con l'appello ufficiale del CLNAI a non consegnare i prodotti agli ammassi fascisti.
È stato più volte osservato che nella Resistenza i contadini, per la prima volta nella storia dell'Italia unita, si schierarono senza esitazione con i movimenti democratici e progressisti.
Nella nostra Nicosia le cose andarono differentemente, Il rapido venire meno nelle campagne del consenso sociale verso il Fascismo da noi non accadde vuoi per – la politica di "ruralizzazione" ostentata dal regime e la sua demagogica difesa dei valori della "civiltà dei campi" – vuoi per il tradizionale fatalismo e conservatorismo che attraversava pienamente la cultura dei nostri contadini, e vuoi per il ruolo fondamentale della chiesa nel tenere buoni la quasi totalità dei credenti attraverso la demonizzazione di sindacalisti, socialisti e comunisti.
A far cambiare idea alla stragrande maggioranza dei nostri agricoltori non furono sufficiente neanche scelte belliche del regime che avevano nuovamente strappato le giovani leve contadine per spedirli verso fronti lontani e ben presto
rivelatisi tragici.
Neanche l’armistizzio dell'8 settembre e dal tracollo dello Stato, con la repentina spaccatura del paese in due tronconi, controllati rispettivamente dagli Alleati nel Sud e dalle truppe tedesche nel Centro-Nord gli fece cambiare atteggiamento.
In tutto questo emerge chiaramente la storia di massaro Giuseppe e massara Maria e i loro figli , contadini silenziosi e consenzienti per tantissimi anni ma che a partire dal 1936, anno in cui il fascismo impose gli ammassi granari collettivi obbligatori, vi si opposero, pagando un durissimo prezzo.
Se nei primi anni gli ammassi avevano un carattere volontario, dopo il 1936 divennero obbligatori. In questo modo il settore cerealicolo rimase subordinato alla politica economica del regime.
Da quel momento gli agricoltori avevano l’obbligo di consegnare il frumento ai consorzi agrari incaricati di procedere alla commercializzazione della merce. Ai privati venne vietato di raccogliere e di vendere frumento per conto proprio. La misura tendente a disciplinare il settore dei cereali e al controllo della produzione agricola, venne utilizzata dai baroni e dai notabili fascisti per estorcere i loro prodotti per quattro soldi ai contadini e rivenderli sul mercato con guadagni tripli o quadrupli.
E fu così che Maria e Giuseppe si rifiutarono di conferire grano e cereali al consorzio gestito all’ora dal podestà La Motta, perché non gli restava quasi niente per sfamare tutti loro e gli animali della loro masseria.
La reazione dei gerarchi fascisti non si fece attendere.
Fu dura e violenta.
Massaro Giuseppe venne arrestato e condannato dal sistema fascista, in carcere venne maltrattamento e percosso con continuità per almeno tre anni.
Che ne provocarono la morte.
A massara Maria e ai suoi figli gli fu tolto tutto il grano e i cereali e gli furono portati via alcuni animali.
Vissero di stenti fino alla caduta del regime e riuscirono a sopravvivere grazie alla generosità dei vicini che di nascosto gli portavano carne ed alimenti.
A sentire le parole di chi mi ha trasmesso questa storia, lei, Maria aspettava con ansia l’avvento della democrazia e di un futuro migliore.
Ma suo malgrado non riuscì a vederla, infatti morì qualche settimana prima che si tenesse il referendum tra Monarchia o Repubblica.
Massara Maria e massaro Giuseppe due eroi contadini della nostra terra dimenticati.
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