È un rantolo questo pezzo, e rantolo sarà per la sua intera durata, evitando, almeno per questa volta, di dare qualsiasi informazione e/o spunto di riflessione. Perché alle volte, lo sfogo scritto, ha più forza che il semplice ingollare il rospo amaro e cercare una chiave di lettura.
“I’m tired of living in unprecedented times”, scrive un amico mio su una story IG. Lo scrive mentre condivide la notizia di Shinzo Abe ammazzato in un attentato.
Della notizia dell’ex PM nipponico ucciso, per quanto a livello personale possa interessare, non ce ne cureremo tuttavia. Non sarebbe utile ai fini di quello che sto per scrivere, anche volendo commentare l’avvenuto. Ciò che mi ha spinto a scrivere questo testo è stata proprio quella frase.
Tradotta viene fuori così: “sono stanco di vivere in periodi mai visti prima”.
Una frase sconsolata, annoiata, rammaricante, grigia e, nei fatti, universalmente condivisa da un’intera generazione.
Chi tende a sminuire o attaccare quella stessa generazione vedendo quella frase, probabilmente, ci taccerà per l’ennesima volta di essere debosciati, smidollati o riconglioniti direttamente. A loro, con grande senso di sconforto, non mi sento altro che fare spallucce.
Non è né utile né bello sprecare tempo a chi legge per il piacere di leggere, sfracanandoli per altro, giusto per arricampare frasi, concetti, esempi per convincere di cosa quella frase significhi veramente.
Ne parleremo qualche altra volta su quanto peso quella frase porti con se.
Per adesso basta la lagna.
Invece, per chi legge per il piacere di leggere: non ho tutte le parole che servono probabilmente, ma ho tutte quelle che bastano. Per semplicità in termini e per mancanza di tempi, mi permetterò di utilizzare il vernacolare più vicino a noi per potermi esprimere, quasi, in maniera perentoria. In poche, semplici, dirette parole: N’AMU RUTTU I CUGLIUNA!
Ci siamo rotti i coglioni di vivere in una realtà che ogni mattina ci fa svegliare con una notizia “peggiore nella storia/record/non vista da secoli/mai provata negli ultimi decenni” e chi più ne ha più ne metta.
Ci siamo rotti i coglioni di non riuscire a vivere un periodo che non sia costellato da questa o quell’altra crisi che influenza matematicamente le nostre vite.
Ci siamo rotti di rimanere a guardare perché la fiducia istituzionale, volenti o nolenti, ancora noi non l’abbiamo. E quando c’è qualche giovane nelle istituzioni come prima cosa al mattino deve combattere decenni di immobilismo e retrogradezza. E solo dopo, forse, potrà iniziare a creare un cambiamento che possa effettivamente andare a beneficio di una più vasta popolazione.
Quella sensazione di stanchezza, di sconforto, di voglia costante di gettare la spugna, arriva ogni giorno con ondate su ondate su ondate di negatività. Magari derivanti da quello che pare essere un pessimismo dilagante. C’è da ammetterlo. Magari dovute alla sfiducia nei confronti di una politica fiacca. Bisogna dirlo. Magari a causa di una narrazione delle cose che tende, forse troppo spesso, a mistificare e ingigantire il semplice e semplificare e instupidire il complesso. E chi non ha i mezzi o la voglia di saper riconoscere le situazioni, si ritrova ad ingerire passivamente ciò che la propria dieta mediatica mette sul tavolo. Lo sconforto, e forse anche un po’ l’abitudine, di vivere in una costante crisi raccontata, quasi a renderla l’unica retorica usufruibile, causa un abbassamento costante della voglia di fare qualcosa e, se c’è da credere alle statistiche internazionali (e c’è da crederci), trova il suo risultato principale in ansia, depressione, stress, solitudine. E per quanto sia vero che la crisi colpisce tutti, indifferentemente da età, sesso o residenza, è anche fatalmente vero che se il peso angosciante che deriva dalle incertezze sul futuro dovesse continuare ad aumentare, immancabilmente, saranno i più giovani a doverne assorbire gli effetti e imparare a limitarne i danni.
“I’m tired of living in unprecedented times”. “Sono stanco di vivere in periodi mai visti prima”.
Una battuta per esorcizzare uno storytelling agghiacciante. Una frase pregna di mille significati. Un grido che, se uno lo ascolta proprio bene, vuole dire solo una cosa: “N’amu ruttu i cugliuna”
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