Le foto ritraggono una scultura, definita un’antica figura allegorica da padre Salvatore Gioco nel suo “Nicosia Diocesi” (Libr. Ed. Musumeci – Catania, 1972), posta sulla sommità della porta d’ingresso alla navata laterale di sinistra della Basilica di Santa Maria Maggiore di Nicosia.
Tale antichissima raffigurazione scultorea, sembrerebbe apparire priva di connotazioni di natura religiosa che la tradizione locale vorrebbe invece indicare sull’opera associando alla figura umana quella di un “moro”, un “infedele”, artigliato dall’aquila, come dire: la vittoria del cristianesimo sull’islam. Essa parrebbe piuttosto la rappresentazione del carattere civico di Nicosia e della sua condizione di importante città demaniale già ai tempi di Federico II di Svevia; un compendio simbolico rappresentativo della "Nicoxia Civitas Costantissima" e della sua fedeltà all'imperatore che la elevò a tale dignità: l'aquila degli Hohenstaufen ed il campo rosso su croce argento dello stemma sottostante (opera forse più tarda e simbolo araldico della nostra comunità) che riprende la bandiera con la Croce di San Giovanni Battista, quella del Sacro Romano Impero, simbolo ghibellino per eccellenza.
Sull’opera scultorea “era” visibile fino a qualche tempo fa la scritta NICOX [NICOXIA] incisa sul basamento lapideo che ne evidenziava la sua storia civica medievale. Forse nel corso dei recenti lavori di restauro o dopo, o prima una “infelice mano” (in ogni senso) di vernice bianca ha inopinatamente nascosto alla vista quella scritta che l’antico autore della scultura aveva inciso secoli fa (appena percepibile nella foto che ritrae il particolare).
Le foto postate scattate dal sottoscritto nel mese di febbraio di quest’anno, riviste alcuni giorni fa, che testimoniano l’attuale stato dell’opera (ammesso che qualcuno nel frattempo non abbia provveduto alla rimozione del “malefatto”), hanno subito fatto “pensare” ad una certa assonanza, un collegamento stretto, con l’attuale querelle che sta interessando Nicosia, quella sulla questione generata dalla proposta dell’Amministrazione comunale di intraprendere l’iter per richiedere l’iscrizione all’Associazione “Borghi più belli d’Italia”. Tale decisione, seguita da un incontro pubblico, da discussioni social, dirette facebook, disquisizioni online sulla natura semantica dei vocaboli “borgo” e “città”, elucubrazioni sul loro concetto urbanistico, hanno ingenerato una serie di riflessioni su come potere classificare la nostra realtà urbana. Anche alcuni seguitissimi gruppi pubblici su Facebook sul turismo in Sicilia che, parlando di Nicosia e descrivendola come “Tra i borghi più caratteristici della provincia di Enna”, hanno ulteriormente animato il dibattito.
C’è da dire che la “quaestio” ha avuto , almeno in questo frangente, il pregio di stimolare fra cultori, appassionati , storici, curiosi, associazioni, giornalisti, semplici fruitori dei social e comuni cittadini un certo interesse ravvivando una certa rilassatezza mentale dovuta alla canicola di questa caldissima estate e reso possibile nel contempo un interessante dialogo su temi in generale poco affrontati: vivibilità, servizi, beni culturali, monumenti, turismo etc. etc..
Ritornando alle considerazioni del nesso tra quel cattivo intervento sull’opera d’arte sopra descritta e la diatriba borgo-città, si invita il lettore a riflettere sulle sensazioni accennate prima. Quell’infelice azione del coprire e quindi CANCELLARE la dicitura NICOX può considerarsi solo come un casuale evento dato dall’imperizia di qualcuno? Oppure è lecito, invece, interpretare questa azione come il lancio di un “messaggio subliminale” ad una intera comunità (quella almeno dotata di capacità di ascolto) da parte di un’entità astratta alla quale sta a cuore il destino di una cittadina dell’entroterra siciliano; un invito a riflettere ponendole delle domande (almeno per chi il problema se lo pone): Cosa è stata Nicosia? Cosa è Nicosia per i nicosiani? Può considerarsi una città? Come si può definirla? Come si potrebbe, in ultima analisi, aiutarla?
Se si vuole tentare di rispondere in maniera efficace a queste domande si dovrebbe innanzitutto analizzare la questione in modo oggettivo, analitico, quasi scientifico sforzandosi di non soccombere alla parzialità di giudizi ammantati da inutili campanilismi. Per far questo, può essere vantaggioso utilizzare tale forzato e provocatorio “collegamento” con il cattivo intervento sulla statua? La risposta è, Si!
Partendo dalla storia demografica di Nicosia e dai dati del censimento del 1583, si legge che la città contava allora 21.181 anime: era la QUARTA più popolosa in Sicilia, dopo Palermo, Messina e Catania. Volendo adesso per un attimo leggere l’elenco dei Borghi fornito dall’Associazione dei “Borghi più belli d’Italia”, di quelli presenti in Sicilia, se ne contano 23 (numero massimo consentito tra l'altro). Proiettandoli nello stesso periodo storico si evince che erano allora tutti urbanisticamente consolidati ad esclusione di Sperlinga. In quel censimento tutti quanti contavano allora una popolazione da 2 a 3 a 4 fino a 20-30 volte minore di quella nicosiana.
Nel 1714, anno del quarto censimento, la popolazione del nostro Comune scese a 11.899 residenti ma comunque l’OTTAVA città per popolazione in tutta l’isola. Il decremento demografico non fu analogo per tutti i “borghi” sopra citati ma le differenze di popolazione con Nicosia furono sempre molto elevate. Nel 1831, Nicosia, capoluogo di circondario, vide un incremento demografico attestandosi intorno ai 13.000 abitanti (al 19° posto nell’isola). Sono anni importanti per la città, da più di un decennio sede di Diocesi, capoluogo di Distretto, sede di un importante fiera del bestiame, con una florida economia che contribuì ad estendere sicuramente in modo considerevole gli insediamenti abitativi che si “fusero” con conventi e monasteri prima allocati “fuori porta” . Il centro abitato di allora oggi può considerarsi in buona parte “centro storico” e si dipana su quattro colli per centinaia di migliaia di metri quadrati e anche adesso una consistente popolazione residente.
Nicosia, fino ad un secolo fa, cioè fino a quando perdette, con l’avvento del regime fascista, la leadership politico-amministrativa di un’ampia area del Val Demone, delimitata dal Circondario pre-unitario all’interno della provincia di Catania, si poteva definire una importante realtà urbana, punto di riferimento politico-amministrativo ed economico di una vasta area dell’entroterra siculo. Nicosia era una vera CITTA’.
E oggi? La risposta è semplice. Non lo è più! Pur caratterizzata da un amplissimo centro storico, da presenze architettoniche e artistiche di sicuro rilievo, oggi è un anonimo paese di collina nell’entroterra siciliano, con poco più di 12.000 abitanti, difficilmente raggiungibile e lontano da itinerari turistici, ma che certamente non può considerarsi un “borgo”. Misconosciuta ai più, visitata a volte da gruppi organizzati disposti ad affrontare le gimcane stradali per raggiungere Sperlinga col suo Castello, perché principalmente indirizzati in quel sito. Quei pochi visitatori rimangono comunque affascinati dalle poche bellezze artistiche ed architettoniche fruibili e dalle prelibatezze culinarie (quelle più fruibili), trattandola come una piacevole digressione turistica.
Appurato che Nicosia sia stata una CITTA’ ed appurato anche che oggi non lo è più, perché tirar fuori questa assonanza? Cosa c’entra quella scritta nascosta con la questione del “borgo”?
Io credo (stavolta uso la prima persona) che quella “mano” che ha cancellato con un po' di vernice bianca la scritta NICOX da quella opera d’arte, una mano caricata di superficialità, ignoranza, pressapochismo, irrispettosa di un bene culturale, rappresenti la mano di tutti quelli che distrattamente o volutamente hanno portato ad essere Nicosia quella che è oggi: senza una vera coscienza di sè, di cosa è stata e di cosa è adesso; una perfetta metafora di un “modus vivendi” e di un “modus operandi”. Una mano che ha nascosto per decenni i segni di un ricca storia urbana, che ha tolto agli abitatori passati e presenti il godimento anche economico di una realtà che sarebbe potuta essere tutelata e valorizzata molto meglio.
Oggi ci si ritrova accanto ad un “malato”. Per guarirlo è necessario individuare esattamente però la patologia per una efficace terapia e non andare a “tentoni”. La malattia dovrà essere affrontata con un ambiamento paradigmatico e radicale: occhi diversi dovranno guardare e mani diverse dovranno scrostare gli strati di vernice accumulati nel tempo.
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