FRANCESCO FISCELLA: Fratelli d’Italia: patrioti a parole, sudditi nei fatti Una riflessione su ciò che chiamiamo “sovranità nazionale”
- Francesco Fiscella
- 9 nov
- Tempo di lettura: 3 min

“Prima gli italiani”, “sovranità nazionale”, “orgoglio patriottico”.
Sono le parole chiave con cui Fratelli d’Italia costruisce la propria identità politica. Ma la realtà storica, osservata con sguardo critico, racconta una storia più complessa: i movimenti della destra neofascista, da cui il partito di Giorgia Meloni trae le proprie radici culturali, si sono sviluppati all’interno di un contesto internazionale segnato da forti dipendenze strategiche, in particolare dagli Stati Uniti.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia fu di fatto posta sotto tutela americana.
Washington, per difendere i propri interessi geopolitici e per contenere l’avanzata del comunismo, sostenne politicamente ed economicamente diversi partiti dell’arco costituzionale, in particolare la Democrazia Cristiana e la destra neofascista.
L’obiettivo era garantire che l’Italia restasse saldamente allineata alla linea atlantica e che ogni deviazione fosse rapidamente neutralizzata.
Le inchieste e i documenti emersi negli anni sulla strategia della tensione e sulla rete Gladio — una struttura paramilitare segreta legata alla NATO — hanno mostrato il coinvolgimento di gruppi neofascisti in operazioni di destabilizzazione interna, spesso con coperture istituzionali.
La sentenza sul caso Peteano (2007) ha confermato la responsabilità di militanti di Ordine Nuovo, evidenziando legami con apparati militari della sfera atlantica.
In questo quadro, il neofascismo italiano non apparve mai come una forza realmente “sovranista”, ma piuttosto come un utile strumento geopolitico inserito in un sistema di equilibri internazionali.
Anche le mafie, come indicato in più sedi giudiziarie e d’inchiesta, operarono all’interno di una rete di tolleranze e connivenze che mantennero l’Italia in una condizione di democrazia fragile e controllata, funzionale all’assetto voluto dalle potenze occidentali.
Il giudice Ferdinando Imposimato, in diverse interviste e scritti, avanzò l’ipotesi — mai definitivamente accertata — che l’esplosivo utilizzato nelle stragi di Capaci e via D’Amelio potesse provenire da basi NATO.
Un’ipotesi che, al di là della sua verifica giudiziaria, pone interrogativi inquietanti sul grado di autonomia del nostro Paese in quegli anni.
Oggi, lo schema sembra ripetersi.
Di fronte al conflitto israelo-palestinese e al sostegno incondizionato degli Stati Uniti alle operazioni di Israele, il governo Meloni appare incapace di assumere una posizione pienamente autonoma.
La collocazione internazionale dell’attuale esecutivo si muove nella continuità storica della fedeltà all’alleato americano — una fedeltà che spesso limita la possibilità di una politica estera veramente indipendente.
L’atteggiamento di Giorgia Meloni sulla guerra in Palestina lo conferma: nel tentativo di apparire moderata e bilanciata, ha parlato di tregua, di equilibrio e di pace, ma senza mai condannare apertamente i bombardamenti e le sofferenze del popolo palestinese.
Anzi, ha espresso riserve verso le imponenti manifestazioni popolari che chiedevano la fine delle ostilità, come se la richiesta di pace fosse un gesto di fazione anziché un atto di civiltà.
E così, ancora una volta, la destra italiana mostra la sua contraddizione più profonda: invoca la sovranità, ma si muove entro i confini imposti dagli interessi di potenze straniere.
Il patriottismo del partito di Fratelli d’Italia si ferma dove cominciano gli interessi di Washington — e l’amara verità è che da lì non sembra mai essersi mosso.
Lo dimostrano anche i gesti simbolici: nella recente tregua in Palestina, Giorgia Meloni si è mostrata accanto a Donald Trump, in un gesto che ha avuto più il sapore della rappresentazione che della sostanza.
Una scelta d’immagine coerente con una politica che preferisce l’apparenza dell’autonomia alla sua pratica effettiva.
Ma la storia, come la dignità, non si recita.
E c’è una verità che nessun patriottismo di facciata può nascondere:
i servi non sono mai protagonisti di azioni nobili,
perché l’obbedienza non genera libertà — la nega.










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