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Immagine del redattoreAldo la Ganga

IL PANE DI CASA E MIA NONNA CICCIA

Sarà perché da qualche giorno ho mal di denti o per qualche altro motivo … In mente mi ritornano alcuni ricordi infantili che ho voluto condividere con voi in questa breve storia .


IL PANE DI CASA E MIA NONNA CICCIA


Buono e’? Mi chiedeva mia nonna Ciccia,io la guardavo e facevo si con la testa perche’ avevo la bocca piena.

Quando in campagna dai miei nonni, alla contrada Marenga, arrivava il giorno che dovevano fare il pane, mia nonna si alzava più presto del solito, io invece restavo a letto a dormire, e quando mi svegliavo il tazzone di latte profumato era già pronto.

Una volta mi sono alzato presto pure io e mi hanno fatto partecipare alla preparazione:

Ogni venerdì, si faceva il pane necessario a sfamare tutta la famiglia e pure a regalarlo a chi ne aveva bisogno, veniva sempre zia Carmelina a aiutare, era il momento migliore per parlare di tutto quello che succedeva nel vicinato, mica c’erano i giornali per leggere le notizie.

Quando mio nonno Giuseppe tornava a casa dopo aver lavorato tutto il giorno in campagna, era stanco e affamato,il pane non doveva mai mancare a tavola e neppure la minestra.

Nella piccola fattoria c’era la cucina col forno a legna, il pane veniva preparato li’, e se chiudo gli occhi la vedo ancora, quella stanza piccola con le pareti bianche annerite dal fumo dove erano appesi gli strumenti per la preparazione del pane, in un angolo c’era un paiolo di rame annerito anche lui dal tempo e dall’uso, in un altro angolo una credenza celeste e un tavolo al centro che serviva per impastare e per setacciare la farina.

La nonna,prima di preparare l’impasto si faceva il segno della croce e diceva in fretta in fretta una preghiera che pero’ non ho mai imparato perche’ la recitava sottovoce e perché io con le preghiere fin da ragazzino non ci andavo molto d'accordo. Solo dopo iniziava a impastare, metteva in una "maidda", la farina aggiungeva l'acqua, diceva, che se la deve bere tutta prima di metterne altra e con le nocche delle mani impastava con tutta la forza che aveva, le maniche della camicia arrotolate con le braccia nude fino al gomito e quel ciuffo di capelli che le sfuggiva dalla crocchia, era bella mia nonna, io la guardavo lavorare seduto nella sedietta.

La lavorazione durava a lungo, restavo incantato a vedere come l’impasto si trasformava e diventava una palla morbida e elastica, me ne dava sempre un pezzetto e io per gioco facevo un indiano o una pistola…

Con l' impasto creava delle piccole pagnotte che adagiava su un giaciglio preparato appositamente e con un telo bianco che sembrava un lenzuolo aveva cura di separare l’impasto perche’ diceva, lievitando poteva attaccarsi, su ciascuna faceva il segno della croce e poi lo copriva con un altro lenzuolo…

Quando il forno era pronto per cuocere il pane, la nonna lo puliva con una scopa bagnata e poi la passava sulla superficie bollente, quando l’acqua diventava fumo si mettevano le forme del pane che si gonfiavano col calore del fuoco e cambiavano colore.

La cucina si riempiva di un profumo che mi faceva venire fame e allora lei, mia nonna Ciccia, prendeva un pane lo tagliava a meta’ versava in mezzo l'olio buono, aggiungeva sale pepe, lo ricopriva per qualche minuto e dopo era pronto da mangiare.

E lei con un meraviglioso sorriso di nonna innamorata del nipote mi chiedeva sempre: buono e’?

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