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La donna oggetto

A ferragosto, in una rinomata realtà turistica della Gallura, che promuove i valori della tradizione ma anche dell'innovazione, è stata servita una donna al buffet dei dolci. Una lavoratrice è stata equiparata a una stoviglia: un vassoio. L'episodio è stato denunciato da un avventore anzi dalla di lui figlia: "Papà che schifo", ha detto la quattordicenne e di fatto la catena alberghiera ha dovuto chiedere scusa, parlando di un «incidente» , di un «increscioso episodio» e in ultimo di un fatto gravissimo...questo dopo i post di sdegno, numerosissimi. Non sono però mancati i commenti di critica alla donna, che non ha detto di NO. L'operaia poteva rifiutare, poteva licenziarsi o demandare ad altre colleghe, ma questo non toglie nulla al fatto in sè. E' offensivo che si mercifichi il corpo della donna e lo è ancora di più che la si colpevolizzi per non aver rifiutato. La donna resa appetibile dalla fenomenologia delle immagini, passate ovunque, diventa una merce anche laddove la vendita di sé è una scelta, ma poi, si può scegliere di vendere il proprio corpo? E se anche si potesse, possiamo accettarlo? C'è sempre una disparità di potere fra chi compra e chi si vende. In definitiva, ridurre i corpi a merce, a oggetto di piacere a pagamento, a trastullo mercenario è sbagliato, sempre. Se ne facciano una ragione i maschi.


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