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LA VOCE IGNORATA DEL PROF.DI FIGLIA SU TINEBRA: UNA RIFLESSIONE AMARA. Di Francesco Fiscella.



Va riconosciuto il merito al magistrato che ha autorizzato le perquisizioni nelle proprietà riconducibili a Giovanni Tinebra. Tuttavia, resta un profondo senso di amarezza: questo passo andava compiuto molti anni fa.

Se numerosi cittadini avevano già intuito — e in alcuni casi denunciato pubblicamente — il ruolo di Tinebra nel depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, com’è possibile che tale consapevolezza non fosse ancora chiara agli inquirenti?


Basterebbe ricordare le denunce e le prese di posizione del professor Di Figlia, risalenti agli anni in cui Tinebra era ancora magistrato in servizio presso il tribunale di Nicosia.


Ma non solo: già nel 2002 la magistrata Ilda Boccassini, in una lettera indirizzata al CSM, espresse apertamente dubbi sulla conduzione delle indagini e sull’operato dello stesso Tinebra, sottolineando le anomalie nella gestione della testimonianza di Vincenzo Scarantino, il falso pentito su cui si costruì il depistaggio.

Le sue parole — rimaste per anni inascoltate — avrebbero dovuto rappresentare un primo serio campanello d’allarme sulla correttezza e trasparenza dell’azione giudiziaria coordinata da Tinebra.


E ancora: dalle risultanze processuali del Borsellino quater, è emerso che Tinebra fu tra i primissimi a ricevere la famosa borsa di Paolo Borsellino, dalla quale scomparve l’agenda rossa. Il fatto che nessuna indagine formale sia stata avviata su di lui già allora solleva oggi interrogativi inquietanti.


È una domanda che ormai non si può più evitare.Chi ha taciuto, ignorato o minimizzato porta sulle spalle il peso grave di un’occasione storica mancata: quella di fare luce, per tempo, sul più vergognoso depistaggio della storia giudiziaria italiana.

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