DOMENICO GIACONIA: BORSELLINO E LA SOLITUDINE
- Germinal Controvoce
- 20 lug
- Tempo di lettura: 2 min

Scrivo a tarda sera del 19 di luglio e pubblico oggi, domenica, come quella domenica dello stesso mese di trentatrè anni fa. Nel mio piccolo, lo faccio volutamente dopo il giorno della commemorazione della strage di Via D’Amelio, credendo, forse, che vergando queste poche parole mi possa volutamente estraniare in qualche modo da tutto quel fastidioso florilegio di frasi di circostanza, di “epitaffi” postumi, di ipocrite vicinanze che hanno invaso i social ed i TG in questo caldo sabato di luglio nei riguardi di Paolo Borsellino. Il giudice e i componenti della sua scorta perirono in quell’infame strage dilaniati non solo dal tritolo ma dalla deflagrazione di uno Stato, di una parte di esso almeno, colluso e impigliato fino al midollo in una gestione occulta del potere dove gli elementi “mafiosi” furono solo dei coprotagonisti. Credo che questa ferita ancora aperta e lasciata a imputridire da depistaggi, colpevoli lentezze ed imperdonabile inedia non sarà mai rimarginata; la verità giudiziaria dopo più di 6 lustri è fisiologicamente e inesorabilmente sempre più lontana, forse irragiungibile. E’ probabile che il tempo dovrà e saprà raggiungerne un’altra di verità, quella ponderata, documentata e ragionata degli storici che certamente sarà carica di una sana forza rigenerante per le future generazioni che già godono, per fortuna, di una più matura consapevolezza del fenomeno mafioso. Sembra una involuzione invece il percorrere oggi una strana strada per la ricerca della verità esibendo, come una reliquia, la “muta” borsa bruciacchiata del giudice-eroe piuttosto che porre l’attenzione in altre direzioni e cercare veramente le “parole mancanti”, quelle che Borsellino fissò con l’inchiostro nella sua agenda rossa mai più ritrovata.
Parlo di “solitudine” perché Borsellino era un “uomo solo”; attorno a Lui la terra gli fu bruciata e non solo dalla mafia, semplicisticamente ridotta ad una “Commissione” e ad una pletora di manovali del crimine. Di questa “solitudine” sono morti anche il vicequestore Giuliano, il Consigliere Istruttore Terranova, Piersanti Mattarella, il procuratore Gaetano Costa, lo stesso Pio La Torre, Dalla Chiesa, il procuratore Chinnici, Falcone. E chissà quanti altri ancora prima di loro. E non li accomuna soltanto l’essere stati abbandonati in vita, ma si ritrovano oggi tutti doppiamente vittime di una vergognosa incapacità dello Stato, di cui erano fedeli SERVITORI, di far luce (giudiziaria) su quei delitti. E’ come ammazzarli due volte!
Quasi centocinquantanni fa, un’inchiesta privata condotta da due allora giovani toscani, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, si occupò di studiare le condizioni sociali e amministrative della nostra isola. Nella loro relazione ebbero a scrivere, a proposito della mafia e del suo “radicamento” nella nostra martoriata terra, queste parole: “… I poteri e le influenze, che la legge è precisamente destinata a contrastare, sono più efficaci della organizzazione intesa a farla valere.”. Avevano capito tutto!
(La foto e l'immagine sono prese dal web - Il dipinto è "Il viandante sul mare di nebbia (C. Friedrich))










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